L’esperto da Dubai, coi razzi nel sedere

L’esperto da Dubai, coi razzi nel sedere

Recentemente a Dubai si è tenuto un seminario con migliaia di persone. Il relatore era un autore di best seller, che ha raggiunto il palco volando con un jet pack (uno zainetto a razzo). Di cosa trattava il corso? Business, naturalmente. Ora io mi chiedo: qual è il valore aggiunto di giungere sul palco volando? Rispetto ad andare a piedi, non è solo più scomodo, è anche più costoso. Se opti per un investimento del genere, lo fai per ottenere un risultato. Farti pubblicità? No, o meglio non solo. Alimentare il tuo «personal branding»? Certo, sicuro. Veicolare uno storytelling? Cavolo, sì. Ne è la dimostrazione il fatto che ne stia scrivendo. Ma lo scopo principale è quello di aumentare il tasso di adrenalina nel partecipante per predisporlo a comprare ciò che vuoi vendergli con quel seminario. In effetti, il seminario da migliaia di dollari era praticamente la rivisitazione “live” del libro da dieci dollari che già tutti avevano letto, con in più qualche «storia di successo» narrata dal protagonista, che l’autore aveva aiutato tramite il suo corso avanzato e – sorpresa – all’interno del seminario stesso, verso la fine, si poteva acquistare a prezzo scontato proprio quel corso avanzato! Quando invece di camminare ti fai sparare da un cannone, non lo fai perché è più veloce o più comodo: lo fai per attirare l’attenzione della gente e far loro pensare: «Wow! Vorrei essere come lui». Lo fai per mostrare che hai soldi e potere, farti invidiare e far credere a tutti gli altri di essere dei falliti rispetto a te. Non c’entra nulla con ciò che davvero dovresti insegnare, e non aiuta certo l’attività di quei poveri cristi che sono venuti lì ad ascoltarti per migliorare i loro business. Ecco, c’è tutto un mercato che usa queste leve verso il pubblico – un pubblico che, da chi organizza il corso, viene tecnicamente definito wannabe¹. E da chi è formato il pubblico di questi eventi? Essenzialmente altri formatori, venuti lì a tenere d’occhio la concorrenza, copiare un benchmark o semplicemente fregare potenziali clienti a un competitor; una ristretta fascia di avventori occasionali, costituita da imprenditori, professionisti, studiosi e curiosi, tutti alla prima esperienza; e infine - ma soprattutto - coloro che potremmo definire «corsisti professionisti», vale a dire persone che, un seminario dopo l’altro, hanno iniziato a diventarne “dipendenti” e ne hanno fatto un vero e proprio stile di vita. Queste persone sono già in possesso di più strumenti e informazioni di quanti ne possano effettivamente mettere in pratica, ma sono state private dell’abilità fondamentale per chi vuole realizzare qualcosa: quella del fare. Tra il dire e il fare c’è di mezzo il fare, non oceani d’acqua. Se è vero che gli imprenditori sono uomini di azione, è soprattutto vero che il loro è un modo di agire ha poco a che vedere con la spettacolarità: è un agire lento e costante, ripetitivo e noioso. Non c’entra nulla con l’arrivare volando su uno zainetto a razzo. È la goccia cinese che scava la roccia. Purtroppo, un’overdose di seminari-spettacolo, incentrati sulla formula per riuscire «ancor prima», «ancora meglio» e «ancor più facilmente», ha gradualmente portato il loro pubblico più assuefatto a considerare «sbagliato» il percorso lento, graduale e frustrante della sana imprenditoria, generando schiere di imprenditori che a loro volta si percepiscono «sbagliati» ogni volta che il loro lavoro non è «piacevole», o che non si sentono «motivati» nel farlo. Stiamo crescendo giovani (ma anche i nostri stessi ego interiori) con aspettative irrealizzabili: individui che vogliono «lasciare il segno nell’universo» senza fatica e subito, prima di fare gavetta. D’altronde oggi basta poco: un account instagram o un video su Twitch e sei subito Khaby Lame. Ovviamente non è questo il messaggio che viene trasmesso direttamente ma andiamo: a poco serve raccontare quanto conti essere umili e lavorare sodo, se a dirtelo è il tizio per il quale hai dovuto sborsare migliaia di euro, e che si impegna così tanto a evidenziare quanto tu sia «ordinario» e «comune» rispetto a lui da arrivare persino ad indossare uno zainetto a razzo per raggiungere il palco. Scommetto che ti starai chiedendo chi sia il formatore di cui parlo. Non sforzarti: me lo sono inventato. Non mi riferisco a nessuno in particolare. Mi riferisco a tutti quelli che hai riconosciuto e che, potenzialmente, possono corrispondere alla descrizione. Prendi queste persone con molta cautela e non credere a tutto quello che ti raccontano, perché il loro business non è quello di renderti un imprenditore o una persona migliore, bensì, come vedremo, quello di fare di te un «corsista professionista».

Aggiornamento

Pubblicai per la prima volta questo articolo nel 2012. Accidenti…è trascorso un decennio: cosa è cambiato da allora?! Beh, Liquid Business Formula® non è più “il corso online più venduto d’Italia” (oggi è gratuito e puoi accedere da qui) e con una delle mie aziende «liquide» mi sono quotato in borsa. A parte questo è cambiato che non occorre più organizzare un evento costoso - che, perlomeno, aveva il pregio di essere ai più inaccessibile - per farti sentire un fallito inadeguato e venderti il sogno del successo. Oggi, nella società liquida, basta dedicare un po’ di tempo ai canali social per diventare geni del male. Detto ciò, non è certo il mio intento sparare a zero su tutto ciò che offre la rete: influencer, formatori, figuriamoci! Pur avendo buttato via migliaia di euro in roba inutile, sono ancora convinto che i corsi di formazione e crescita personale, se frequentati con intelligenza, siano un’ottima strategia per condizionare la mente e far capire al nostro inconscio che, oltre a quella propinata dai media, esiste un’altra realtà fatta di persone che non ritengono scandaloso o riprovevole inseguire il successo e coltivare sane ambizioni, né ingenuo pensare di poter ancora oggi realizzare il proprio «american dream». E poi perché in fondo, chi se ne tiene alla larga a prescindere liquidando tutto come una trappola per allocchi, danneggia se stesso e non dimostra certo di essere più furbo degli «adepti da setta»; che a ben vedere sono semplici follower entusiasti, che perlomeno si alzano dal divano. Io stesso ho venduto corsi di formazione, sono andato sul palco e ho condotto seminari e lo faccio ancora se mi chiamano. La distinzione non è tra chi fa queste cose e chi non le fa, riguarda piuttosto come vengono fatte. La difficoltà è proprio questa: riconoscere la differenza tra chi nel Vecchio West vendeva pale e picconi per scavare e l’imbonitore da fiera che pubblicizzava il tonico miracoloso per guarire tutti i mali. E quella differenza non può certo rimarcarvela chi vende o chi ha già acquistato il prodotto: il primo ha un evidente conflitto di interessi, mentre il secondo è vittima di un bias². Per cui non sono io a dover dire se, per esempio, quando ho fatto il proverbiale milione di euro di vendite commercializzando un corso online a 197 euro al pezzo, sono rientrato nella categoria dell’imbonitore da fiera o se piuttosto ho venduto strumenti validi in maniera onesta e trasparente. Certo, ho rispettato tutti i termini di legge, ma la giurisdizione morale è di chi quel corso se lo ritrova fra le mani. “Ai posteri l’ardua sentenza”, come si dice. Ma dal momento che, come ho scritto prima, è trascorso un decennio e i “posteri” siamo diventati noi ecco qua: dieci anni fa ci ho fatturato un milione di euro con questa «formula», dagli un’occhiata e fammi sapere se valeva il prezzo³.

¹ Il termine è una contrazione dell’inglese want to be, «voler essere», e viene utilizzato come espressione colloquiale per indicare chi aspira a qualcosa (per esempio a «essere qualcuno», o ricoprire un particolare ruolo) oppure chi finge di aver già raggiunto/ottenuto quel qualcosa.

² Nella fattispecie, si tratta dell’irrational escalation bias.

³ Poi, sempre se ti va, una volta che la questione della “formula per il successo” è stata liquidata, possiamo cominciare il nostro dialogo adulto qui (LINK CONSULENZA).